Bruno Vanzan, oltre il bancone: le nuove frontiere del bar
Ti occupi di tantissime cose – bartender, formatore, imprenditore, autore, personaggio TV… – ce lo racconti tu, in parole tue, cosa fai davvero?
«Come hai detto tu, le attività che svolgo sono molteplici.
Tutto nasce dalla mia professione di bartender, che pratico da 23 anni.
Nel 2017 ho fondato la BV Holding, che oggi coordina cinque macro-attività ben definite.
La prima è la Bruno Vanzan Academy, il nostro centro di formazione, nato con l’obiettivo di elevare e trasformare gli standard educativi nel mondo del bartending.
La seconda è la Bruno Vanzan Catering, business unit dedicata agli eventi esterni, pensata per offrire esperienze di alto livello anche fuori dal nostro headquarter.
La terza area è quella delle consulenze, in cui aiutiamo imprenditori a sviluppare format innovativi, non solo per bar, ma anche per la creazione di prodotti alcolici.
C'è poi un reparto chiamato Space Design, che si occupa della progettazione e realizzazione di spazi funzionali e moderni, studiati appositamente per il settore hospitality.
Infine, la quinta macro-attività è la nostra distilleria, con cui produciamo etichette come IOVEM e Black Sinner, affiancate da importanti collaborazioni internazionali.
La mia missione oggi è guidare una squadra con una visione chiara, basata su qualità, innovazione e standard elevati.
Naturalmente, continuo a seguire in prima persona i progetti dove la mia presenza è più richiesta.»
Hai trasformato la figura del bartender in un’icona internazionale, portando la mixology italiana ovunque. Secondo te, come si è evoluto questo ruolo negli ultimi dieci anni, e cosa lo rende oggi davvero competitivo?
«Il merito non è stato solo mio, ma di un movimento intero che ha voluto crescere e farsi riconoscere.
Negli ultimi dieci anni, la qualità è aumentata in ogni aspetto: dalle materie prime alla preparazione dei professionisti.
Il cliente oggi percepisce che dietro a un cocktail c’è progettualità, studio, attenzione – un po’ come accade da tempo nel mondo della cucina.
Il bartender contemporaneo non può improvvisare.
Deve basarsi su formazione solida e aggiornamento continuo.
L’improvvisazione, che un tempo era normale, oggi non trova più spazio. O meglio, non dovrebbe trovarlo.»
Design, cucina d’autore, tecnologia: il mondo del bar è sempre più contaminato. Quali sono, secondo te, i trend che oggi un professionista non può assolutamente ignorare?
«Ci sono professionisti che seguono i trend, e altri che li creano.
Oggi progettare un bar significa prestare attenzione a fattori fondamentali: la temperatura di servizio del drink, la forma e il materiale del bicchiere, la qualità del ghiaccio e l’importanza della sanificazione – come dimostra anche il caso di THRILL.
Un esempio concreto? Gli Highball cocktail, ispirati ai Mizuwari giapponesi, stanno diventando centrali nel bere miscelato.
Parliamo di drink leggeri, gasati, a bassa gradazione alcolica, serviti in modo essenziale ma impeccabile, spesso su grandi cubi di ghiaccio.
È lì che stiamo andando: meno zuccheri, più equilibrio, più precisione tecnica e impatto estetico.
La soda sarà uno degli elementi più interessanti nei prossimi anni.»
Con la tua Academy stai formando centinaia di nuovi bartender ogni anno. Ma in un settore che soffre una carenza cronica di personale qualificato in sala, quando inizieremo a vedere percorsi strutturati anche per i Professionisti di Sala? Non è forse il momento di colmare anche questo vuoto?
«Hai toccato un punto fondamentale. La carenza di personale di sala qualificato è reale e molto evidente.
Con la Bruno Vanzan Academy, stiamo già affrontando il tema: nel nostro corso più completo, The University, sono previsti moduli formativi dedicati interamente all’ospitalità, al servizio e alla gestione della relazione con il cliente.
Tuttavia, credo che il primo passo da fare sia ridare dignità e attrattiva alla figura del cameriere.
Per troppo tempo è stata vista come una professione di ripiego, come se “fare il cameriere” fosse ciò che si fa quando non si può fare altro.
È una mentalità che va cambiata.
Solo se riusciremo a valorizzare quel ruolo, la formazione potrà diventare davvero efficace e aspirazionale.»
La tecnologia sta entrando sempre più nel mondo dell’hospitality e del beverage. Quanto contano oggi innovazione e impatto sensoriale dietro al bancone? Strumenti come THRILL, ad esempio, possono davvero cambiare l’esperienza di consumo?
«Chi pensa di poter fare a meno della tecnologia, non sta guardando al futuro.
Nel nostro mestiere, la tecnologia non sostituisce l’uomo: lo affianca, lo potenzia, ne valorizza il lavoro.
Io sono molto attento all’innovazione, a patto che serva davvero a migliorare la qualità dell’esperienza. THRILL è un perfetto esempio: non solo raffredda e sanifica i bicchieri in pochi secondi, ma crea anche un momento di spettacolo. È un gesto tecnico che si trasforma in contenuto, dialogo, racconto. Aiuta a spiegare perché scegliamo un bicchiere freddo, pulito, perfetto. Ecco: se la tecnologia sposa la qualità, ci guadagnano tutti – il cliente, il professionista, e l’intero settore.»
Dall’arte del miscelare all’arte del costruire visioni, Bruno Vanzan dimostra come il bartender contemporaneo sia molto più di un creatore di cocktail: è un imprenditore, un comunicatore e un formatore.
La sua esperienza ci ricorda che il successo non nasce dal caso, ma da studio, determinazione e dalla capacità di anticipare i tempi – anche grazie alla tecnologia.
Un’intervista che conferma una cosa: il futuro del bar non è solo nel bicchiere, ma in tutto quello che gli gira attorno.